Breve storia della Democrazia Cristiana con particolare riguardo ai suoi errori
tratto da: Eugenio CORTI, Il Fumo nel Tempio, Ares, Milano 2001, p. 154-178.
Lo sfacelo in cui si trova oggi (inizio 1995) il partito politico
d’ispirazione cristiana, e più a monte la paralisi della cultura
cattolica (da cui, ben prima che dalla successiva corruzione, lo sfacelo
politico a parer nostro deriva), ci inducono a un esame - ovviamente
sintetico - di ciò che è accaduto.
Vediamo anzitutto, per grandi linee, qual è stata la storia in Italia e nel mondo durante questi ultimi cinquant’anni.
Sul piano storico generale
Nella nostra epoca abbiamo avuto una straordinaria conferma della
fondatezza della visione di S.Agostino, per il quale la storia consiste
in un alternarsi continuo delle ‘due città’: la ‘città terrena’ (cioè
la società degli uomini che, anche quando partono da propositi
encomiabili, poiché escludono Dio dalla loro vita, finiscono
inevitabilmente col seguire il ‘principe di questo mondo’, ossia il
demonio, il quale come sappiamo è ‘omicida’, ‘padre di menzogna’, e
‘scimmia di Dio’) e la ‘città celeste’ (cioè la società di coloro che
nel costruire la vita in comune, si rifanno in qualche modo agli
insegnamenti di Dio).
Per me, che avevo di questi concetti una nozione del tutto scolastica,
il trovarmeli improvvisamente intorno - a vent’anni, durante la guerra
sul fronte russo - tradotti in cruda realtà, ha costituito una lezione
che non ho più dimenticato. Avevo sotto gli occhi la ‘città terrena’ -
anzi due città terrene, una di destra e l’altra di sinistra: dico quella
nazista e quella del ‘comunismo in corso di realizzazione’ - nelle
quali l’omicidio su scala massale, la menzogna programmata, e la pretesa
degli uomini di sostituirsi a Dio (il farsi ‘scimmie di Dio’), erano
tra i principali strumenti impiegati nell’edificazione appunto delle due
società: ‘millenaria’ la prima, definitiva la seconda. Non posso
soffermarmi. La vicenda nazista - senza dubbio più luciferina, che solo
per mancanza di tempo (appena dodici anni a disposizione) ha contenuto
il numero complessivo degli omicidi in alcune decine di milioni - è del
resto abbastanza conosciuta in Italia. Quanto al comunismo mi limiterò,
trascurando tutto il resto, a ricordare il numero delle sue vittime, in
stragrande maggioranza inermi: più di sessanta milioni in Russia (nota
1); successivamente intorno a centocinquanta milioni in Cina (queste
cinesi da noi pressoché ignorate, appunto a causa della paralisi della
cultura cattolica); più tardi in Indocina, in appena tre anni - dal 1975
al 1977 - circa un terzo dell’intera popolazione cambogiana venne
inutilmente sacrificato nel tentativo, anche là, di costruire la
‘società comunista degli uomini nuovi’. Rimando il lettore che voglia
approfondire, a mie precedenti pubblicazioni.
Qui in Europa l’orrore della gente era giunto a un livello tale, che
dopo la guerra tutte le popolazioni che ne hanno avuta la possibilità,
hanno affidata la ricostruzione e la direzione della cosa pubblica, in
misura non vista da secoli, a uomini politici d’ispirazione cristiana.
Ciò si è verificato non soltanto in Italia, ma anche in Francia, Belgio,
Olanda, Austria, e nella stessa Germania, dove anzi il capo dei
politici cristiani, Adenauer, chiudeva spesso i suoi discorsi con una
frase molto significativa: “Anche in politica soltanto Cristo ci può
salvare”.
È in questo modo dunque che ebbe inizio la storia della Democrazia
Cristiana: come a dire (mi si scusi l’espressione un po’ aulica)
l’avvento, anche da noi, della ‘città celeste’.
La fase degasperiana
Per quasi dieci anni il partito d’ispirazione cristiana ha assolto
sostanzialmente bene il suo compito, che fu anzitutto d’impedire la
presa del potere da parte dei marxisti, potere dal quale sarebbe
derivato all’Italia un numero oggi non valutabile, ma certamente enorme,
di vittime umane (nota 2), e la distruzione non solo del nostro sistema
economico, ma anche della nostra civiltà (nota 3).
La competizione coi marxisti fu da principio veramente dura e non
facile, sia per la forza numerica e la pericolosità dei comunisti, e per
l’esagitazione dei loro alleati socialisti, sia per lo spossante
impedimento venutosi subito a creare con la nuova costituzione. Questa
infatti (anni di stesura 1946-47) siccome dalle prime elezioni di
assaggio non era emerso con chiarezza se la vittoria su piano nazionale
sarebbe andata ai cristiani o ai marxisti, era stata dagli uni e dagli
altri (entrambi con forti probabilità di trovarsi in minoranza)
infarcita di garantismi (nota 4).
La costituzione garantista avrebbe continuato a influire in modo semi
paralizzante anche nei decenni successivi fino a oggi, non solo rendendo
molto difficile il governare, ma anche per lo sviluppo abnorme che poco
alla volta si fu costretti a dare all’organizzazione del partito
cristiano, perché potesse far fronte a quello comunista. Quest’ultimo -
il più numeroso d’Occidente - si era andato via via organizzando alla
maniera dei partiti dell’Est, e mentre poteva essere manovrato dall’alto
con rispondenza immediata, aveva introdotto e si adoperava ad
introdurre la propria presenza, ai diversi livelli, nei vari gangli
della vita pubblica, compresi quelli del potere giudiziario; tutti
quanti i suoi iscritti (e anche molti simpatizzanti: in particolare -
grazie ai programmi di Gramsci - gli intellettuali) per decenni si sono
sentiti veri e propri militanti. L’organizzazione della D. C. per fare
argine a tale situazione, finì col costare sempre più denaro (nota 5),
il reperimento del quale avrebbe costituito, col tempo, la seconda causa
di guai e infine di sfascio (accanto alla prima causa: la paralisi
della cultura cattolica, in merito alla quale entreremo più avanti).
I moniti di De Gasperi
La situazione di difficoltà qui prospettata, fu indicata con grande
chiarezza da Alcide De Gasperi nel suo cosiddetto ‘testamento politico’
(il discorso da lui pronunciato nel giugno ’54, cinquanta giorni prima
di morire, al Congresso Nazionale di Napoli). Egli avvertì che il
meccanismo costituzionale garantista aveva creato gravi difficoltà al
governo fin dall’inizio della prima legislatura, in cui pure la DC aveva
la maggioranza assoluta. Di qui il tentativo suo e di altri capi
democratici per variare la legge elettorale in senso maggioritario, per
arrivare cioè a un nuovo “regolamento che” sono parole sue “rispettando i
diritti della minoranza, rendesse possibili le funzioni della
maggioranza”. Il tentativo non riuscì per il furibondo contrasto opposto
alla nuova legge elettorale (definita ‘legge truffa’) da comunisti e
socialisti.
De Gasperi indicò anche, con chiarezza, i gravi pericoli che già allora
incombevano sul partito cristiano. In sintesi due: la crescente
divisione interna prodotta dalle correnti (favorite esse pure dal
garantismo), nonché il classismo e il partitismo (o mito del partito)
che i cristiani rischiavano di mutuare dai loro antagonisti marxisti
(nota 6). “Se siamo divisi o indeboliti dalle nostre discordie” egli
avvertì i suoi più accaniti oppositori interni, che avevano una sorta di
capo in un uomo per altri aspetti stimabilissimo come Giuseppe
Dossetti, “diventiamo schiavi della situazione parlamentare. Non sarà
più il nostro pensiero programmatico che creerà congruenze e
convergenze, ma sarà la situazione parlamentare, la ferrea necessità di
avere un governo, che ci costringerà a qualunque coalizione, senza
condizioni… Con ciò il partito rischia di perdere la fiamma dei suoi
ideali, né può alimentare le speranze dei giovani; e diventa una
macchina elettorale che arrugginisce: noi siamo già sull’orlo di questo
destino”. Precisò anche: “Le presenti difficoltà potrebbero portare a
una crisi del sistema rappresentativo” (nota 7).
Un corpo estraneo
Va ricordato che durante quegli anni la base del patrimonio culturale
del partito d’ispirazione cristiana fu (come dovrebbe essere sempre) la
dottrina sociale della Chiesa. Accanto a questa però aveva cominciato a
farsi strada un corpo d’idee nuove, uscite dall’insegnamento del grande
filosofo cattolico francese Jacques Maritain. Costui, convertitosi nel
1905 dall’ateismo rivoluzionario al cattolicesimo, aveva in un primo
tempo scritto opere antirivoluzionarie (come «Antimoderno» e «I Tre
riformatori», quest’ultima tradotta in italiano da G. B. Montini, a quel
tempo giovane sacerdote), e si era in seguito distinto per un
efficacissimo ammodernamento del tomismo, per il quale gli siamo
debitori ancora oggi. Aveva insomma molto bene meritato nel campo della
cultura cattolica, e glien’erano venuti ampi riconoscimenti. Per farsi
un’idea della grande autorità acquisita da Maritain tra le due guerre e
nel dopoguerra, si pensi a quella - nello stesso tempo - di Benedetto
Croce nella cultura laica italiana: con la differenza che l’autorità di
Maritain non si limitava all’àmbito francese, ma si estendeva alla
cultura cattolica del mondo intero.
Prima della guerra però, quasi presentisse il vicino avvento della
«città celeste», il grande filosofo aveva formulato un suo progetto di
«nuova cristianità», che si staccava non poco dall’insegnamento perenne
della Chiesa, e l’aveva diffuso attraverso un notissimo volume:
«Umanesimo integrale» (uscito in Francia nel 1936, tradotto in italiano
nel 1946). L’opera si caratterizzava per una ricerca delle verità, e
virtù, e valori cristiani «impazziti» - cioè delle verità e virtù, e
valori cristiani ‘prigionieri dell’errore’, ma pur sempre cristiani -
che si trovano nel patrimonio culturale di determinati gruppi avversi
alla Chiesa, segnatamente dei comunisti e dei laicisti radicali, dei
quali gruppi Maritain prospettava l’inclusione nella ‘nuova
cristianità’, appunto sulla base di tale patrimonio comune.
Le sue idee - che andavano sempre più prendendo piede tra i fedeli -
vennero severamente confutate dalla rivista dei gesuiti «La Civiltà
Cattolica» (anno 1956, v. III, pp. 449-463) in un importante articolo
del direttore padre A. Messineo, considerato allora portavoce di papa
Pio XII; detto articolo si conclude con le parole: “L’umanesimo
integrale non è l’umanesimo dell’uomo rigenerato dalla grazia… Nella
sua sostanza l’umanesimo integrale è un naturalismo integrale”.
Successo travolgente
Ciononostante anno dopo anno le idee di Maritain incontrarono sempre
maggior credito e adesione tra i cristiani: qui in Italia il successo si
fece addirittura travolgente, favorito anche da molti avversari, i
quali mentre non intendevano certo farsi inquadrare dai cristiani,
vedevano però in quel progetto un’occasione d’incontro che bloccasse
l’avanzata allora in atto dei cristiani e della loro ‘città celeste’.
Tra il 1962 e il 1965 ci fu l’enorme evento del Concilio Vaticano II,
sul quale non possiamo soffermarci. Agli effetti del nostro discorso
basterà dire che il Concilio - nonostante la pressione molteplice e
incessante dei mass media laicisti (e anche di non pochi cattolici) -
non fece alcuna concessione, almeno d’ordine dottrinale, nel senso
preconizzato da Maritain. Non trovando soddisfazione presso i padri
conciliari, i grandi giornali e le televisioni adottarono il sistema di
rivolgersi ai molti fra i loro accompagnatori e consiglieri che erano
novatori nel senso maritainiano, e trovarono così modo di costruire e
diffondere una interpretazione del Concilio come garbava al laicismo.
(È la stessa contro cui ha dovuto tante volte prendere posizione negli
anni seguenti l’attuale pontefice Giovanni Paolo II, ricordando che
l’interpretazione autentica del Concilio spetta a chi ne ha i carismi,
cioè in ultima istanza a lui, e non ad altri.)
Anche chi scrive queste righe subì - nonostante la sua esperienza del
mondo russo - il fascino dell’ultrapacificatore progetto di Maritain,
partecipando così per un certo tempo all’innamoramento generale dei
giovani di cultura cattolica (nota 8). Certo mi disturbava il fatto che
veniva in tal modo rovesciato l’indirizzo costantemente seguito, e con
forte impegno, dai defunti grandi papi Pio XI e Pio XII… Ad aprirmi di
colpo gli occhi fu comunque un’improvvisa constatazione: che tutti,
letteralmente tutti, s’erano messi a parlar bene di noi: anche chi
assolutamente non avrebbe dovuto. Mi ricordai allora del discorso della
montagna, e di quelle parole del Maestro: “Guai a voi quando tutti
diranno bene di voi. Così infatti facevano i vostri padri con i falsi
profeti…” E il suo solenne avvertimento circa i falsi profeti: “Dalle
loro opere li riconoscerete”.
Le conseguenze
Dalle opere dunque, dai fatti. Cos’è derivato nei fatti (non nelle
speranze e nei sogni addirittura di una ‘nuova Pentecoste’)
dall’apertura che i cattolici finirono col fare non soltanto al mondo
contemporaneo in generale, ma specificamente al comunismo, al laicismo, e
ad ogni genere di modernismo? Per cominciare un’insensata
autodemolizione della cultura cattolica. Poi - limitandoci ai soli
accadimenti maggiori - una cessazione, nell’àmbito delle società più
avanzate, delle conversioni al cattolicesimo, che prima si contavano
ogni anno a centinaia di migliaia. Inoltre una crescente perdita della
nostra identità, con conseguente caduta delle vocazioni religiose: nel
giro di appena una decina d’anni i chierici nei seminari si ridussero
alla metà, e in qualche diocesi addirittura a un quinto o a un sesto.
Negli ordini religiosi si ebbero colossali defezioni: tra i gesuiti
diecimila padri su trentaseimila abbandonarono lo stato religioso, tra i
domenicani (altro ordine culturalmente avanzato) la percentuale delle
defezioni fu ancora più elevata (si fa presto a dirlo: ma quando mai
nella storia millenaria della Chiesa si era assistito a qualcosa di
simile?) In pari tempo l’Azione Cattolica italiana, ch’era stato uno dei
principali strumenti nell’edificazione della ‘città celeste’, ha visto
il numero dei propri membri precipitare da tre milioni a soli
seicentomila, e anche questi - complessati come sono nei riguardi dei
marxisti e dei laicisti radicali - non mostrano più che un vago,
inconcludente velleitarismo.
Conosciamo il lamento di papa Paolo VI già nel giugno 1972: “Il fumo di
Satana è entrato nel tempio di Dio… Si credeva che dopo il Concilio
sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È
venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio”. E la sua
precisazione (18.9.74): “Grande parte di essi mali non assale la Chiesa
dal di fuori, ma l’affligge, l’indebolisce, la snerva dal di dentro. Il
cuore si riempie di amarezza”.
Contemporaneamente ha avuto luogo sul piano storico un rovesciamento
della precedente situazione: al regresso della ‘città celeste’ ha
corrisposto una nuova, tumultuosa avanzata della ‘città terrena’, ossia
della società secolarizzata, che si è affermata rapidamente nel costume
(paganesimo sessuale, droga, scristianizzazione crescente del popolo),
nonché nell’àmbito delle leggi (divorzio, aborto ed altre). A chi ci
chiedesse dove sono oggi gli omicidi che nel quadro di S. Agostino si
accompagnano al prevalere della città terrena, indichiamo appunto le
vittime della droga e soprattutto degli aborti: queste sono ormai
milioni ogni anno nel mondo occidentale, ed avviate a pareggiare il
numero di quelle fatte da nazismo e marxismo.
In àmbito politico la Democrazia Cristiana, pur subendo forti scosse,
non è crollata subito, ma ha dovuto via via cedere in ciò che più conta:
cioè nel campo delle idee e dei principii, ripiegando sempre più sulla
cosiddetta ‘politica delle cose’. (È appena il caso di ricordare che a
influire - fino addirittura a determinare mutamenti - sul costume di un
popolo, non è l’azione politica, bensì quella culturale: l’influenza che
una data cultura, soprattutto se riesce a diventare dominante, esercita
sulla gente. Da noi - come del resto nell’intero Occidente - è
diventata cultura dominante quella illuminista: laicista e
tendenzialmente promarxista; in Italia più smaccatamente promarxista che
altrove.)
Confusione cronica
Più tardi Jacques Maritain ha dato l’impressione di essersi spaventato e
ricreduto (nota 9). Ben pochi dei suoi molti discepoli però lo hanno
seguito sulla via del ripensamento. (Fra costoro il capo dei
maritainiani nella politica italiana, il già ricordato on. Giuseppe
Dossetti, che più tenacemente d’ogni altro aveva a suo tempo contrastato
gli indirizzi di De Gasperi: abbandonata la politica, costui si è fatto
frate, sia pure frate - oggi ch’è vecchio - di tanto in tanto
ringhiante).
Non essendosi ricreduti i più, la confusione in àmbito politico si è
andata in seguito facendo cronica. Portiamo un solo esempio: dal 27 al
29 febbraio 1976 si tenne a Roma un congresso (animatore il maritainiano
prof. Lazzati, segretario del partito il ‘moroteo’ Zaccagnini) inteso a
‘rifondare’ - già allora! - la DC, ossia a farla uscire dalla
confusione. Ebbene due delle tre relazioni del congresso vennero
affidate ad individui (i professori Gozzini e Romanò) che di lì a
qualche mese, in occasione di elezioni anticipate, si sarebbero
tranquillamente candidati, e furono eletti al parlamento, nelle liste
del partito comunista…
Col passare degli anni e l’evidenziarsi agli occhi di molti dell’errore
di Maritain, l’innamoramento iniziale dei giovani di cultura cattolica
per le sue idee, andò trasformandosi in un acido accanimento che fino a
poco tempo fa si è condensato in particolare nella cosiddetta ‘Lega
democratica’ (esponente principale il prof. Scoppola), la quale
sfruttando la costante attenzione e disponibilità a lei riservata dai
maggiori mass media laicisti, ha avuto fino ad oggi soprattutto
l’effetto pratico di tenere tragicamente divisa in due la disastrata e
ormai molto minoritaria cultura cattolica, al punto da impedirle quasi
di farsi sentire (nota 10). […]
Il quadro d’insieme
Saremmo tentati di suddividere i complessivi quarant’anni di storia
della Democrazia Cristiana successivi al decennio degasperiano, in
alcuni grandi periodi, soffermandoci in particolare sui danni causati
dal primo Fanfani, da Moro (che auspicava addirittura una prossima
‘terza fase’ di combinazione piena coi comunisti), da De Mita (pupillo
del nefasto maître à penser scristianizzatore Scalfari), fino a
Martinazzoli. Soffermandoci tuttavia anche sui momenti, che pure non
sono mancati, di ripresa nel senso giusto (col secondo Fanfani, e con
diversi moderati, tra i quali Scelba, Pella, Rumor, e il cireneo
Andreotti): momenti nei quali tuttavia si è rimasti sempre lontani dalla
possibilità di reindirizzare il partito.
Una suddivisione in periodi richiederebbe però troppo spazio, e non
sarebbe molto rilevante agli effetti del nostro discorso. Ciò che
complessivamente si nota, durante quei quarant’anni, è che nella DC non
ha mai avuto luogo un risveglio risolutivo che portasse al recupero
della sua identità. E questo neppure dopo i clamorosi fatti di Spagna
quando, venuto meno nel 1975 il franchismo, alla prima consultazione
elettorale libera, essendosi i democratici cristiani presentati con un
partito che aveva il nome e il programma scopertamente cattocomunista
(Izquierda - cioè Sinistra - Democratica, leader Ruiz Jiménez) i loro
naturali elettori si sono indirizzati nella quasi totalità verso altri
partiti. Cosicché quella che tutti ritenevano la maggior formazione
politica del paese - e aveva ricevuto visite e benedizioni grottesche da
parte dei più noti leader cattocomunisti europei - ha raccolto solo
l’1.5% dei voti. In pratica in Spagna un partito d’ispirazione cristiana
non era neppure potuto nascere.
Da noi durante quel quarantennio c’è stato, in luogo di un recupero
d’identità, una dapprima appena accennata, poi una via via crescente
decadenza del rigore morale. Il denaro che scorreva sotto banco per far
funzionare il partito, attirava troppo: poco alla volta sempre più
numerosi sono stati coloro che hanno cominciato ad attingervi. Dai
rimorsi che, specie all’inizio, la loro morale cristiana gli ha senza
dubbio suscitati dentro, li difendeva probabilmente il senso
dell’immoralità ormai - con la progressiva scristianizzazione -
dilagante in ogni campo. Negli ultimi anni il quadro più preoccupante
era ad ogni modo costituito, a parer nostro, dalle giovani leve
dell’organizzazione DC, che sotto il profilo morale apparivano
esattamente l’opposto delle vecchie leve disinteressate. Si trattava in
genere di ‘portaborse’, del tutto incuranti dei grandi ideali cristiani,
e intesi solo a ‘entrare nel giro’ per potersi poi fare gli affari
loro.
Va detto che, contemporaneamente, non solo in Italia, ma nell’intero
mondo cattolico la confusione si era andata sviluppando in modo
drammatico, tanto che venne denunciata dal papa Paolo VI nel settembre
1977 durante il suo ultimo incontro con Jean Guitton dell’Accademia di
Francia: “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è
che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un
pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non
cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma
esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa” (J. Guitton, «Paolo
VI segreto», Ed. Paoline 1981, pp. 152 e 153).
Nel campo avversario
Quanto ai comunisti, che avevano fin dall’immediato dopoguerra portata
l’Italia sull’orlo della rivoluzione, ve la mantennero a lungo con la
loro politica del ‘quanto peggio tanto meglio’, e con i continui
attacchi (soprattutto verbali per fortuna) allo stato, alle sue
istituzioni, alla polizia. In seguito però, evidenziandosi il loro
fallimento in Unione Sovietica e nelle altre repubbliche dell’Est, la
rivoluzione non l’hanno scatenata affatto. Da qui un’improvvisa tenace
ribellione - durata ben dieci anni, dal 68 al 77 - di alcune loro frange
giovanili estremiste (nota 11), ribellione inizialmente innescata dai
più esaltati fra i giovani cattocomunisti, meno soggetti alla disciplina
di partito dei giovani comunisti veri e propri. Il partito comunista,
dapprima incerto, sconfessò quei ribelli sempre più energicamente, e
andò via via trasferendosi dalla sua fase omicida (in Italia per la
verità, dopo la contenuta mattanza del 45, rimasta solo potenzialmente
omicida) all’altra fase che gli è propria, quella della menzogna. A
questo riguardo ci basterà dire che, grazie anche all’aiuto fornitogli
dalla restante cultura laicista (in pratica da tutti i grandi giornali),
e con la semi-complicità dei cattocomunisti potenti alla televisione,
la menzogna è risultata per loro produttiva soprattutto in questo: che
sono riusciti a nascondere al popolo italiano l’enormità delle stragi
comuniste sia d’àmbito russo, che cinese, che indocinese, cioè in
conclusione l’atrocità del comunismo reale. Di tale realtà in Italia si è
avuta percezione adeguata solo per pochi giorni, davanti al tremendo
spettacolo delle navi stracariche di albanesi che cercavano in tutti i
modi di sbarcare sul nostro suolo (nota 12).
Col trascorrere degli anni intanto, il desiderio di salvaguardare le
innumerevoli posizioni conquistate in tutti i campi, e insieme un
affiorare di reali buone intenzioni (via via crescenti, quanto più si è
andata indebolendo l’ideologia), ha portato i dirigenti comunisti a un
comportamento sostanzialmente non omogeneo con la loro dottrina.
Anzitutto a un’accentuazione del cosiddetto ‘consociativismo’ (fenomeno
in sé deteriore, ma che nel nostro soffocante quadro costituzionale
garantista, ha dato respiro all’Italia); inoltre, in diversi casi
(Amendola, Napolitano), a un comportamento obiettivamente civile. Per
quanto concerne i socialisti, ricordiamo che dopo essersi faticosamente
staccati dai comunisti, avevano col ‘centrosinistra’ (1962) dato inizio
alla formazione di governi coi democristiani. Siccome però la forza
d’attrazione degli ideali politici cristiani andava sempre più scemando
(c’erano addirittura pensatori cristiani che mettevano in discussione
l’ammissibilità di una dottrina sociale della Chiesa…), i socialisti
non sono mai riusciti a districarsi veramente dall’universo teorico
marxista; la loro presenza nel governo ha finito col comportare un
sensibile incremento della confusione, della scristianizzazione, e di
sempre più dissennate spese sociali (nota 13).
Durante quei decenni l’unico mass medium importante di cui il mondo
cattolico e il suo partito politico hanno potuto dispone, fu la
televisione: la Rai TV dapprima, poi soltanto il Primo canale Rai. Un
mass medium mal utilizzabile tuttavia perché fortemente influenzato
dalla presenza massiccia dei cattocomunisti (a cominciare da molto
presto, addirittura dal 1955: il grande critico cattolico dello
spettacolo Mario Apollonio, ha scritto al riguardo uno sconfortato libro
intitolato appunto Cinquantacinque). Tale influenza ha portato gli
operatori cattolici della Rai a una sorta di compromesso permanente e
per così dire istituzionalizzato con la cultura dominante laicista e pro
marxista. Dopo l’uscita di scena nel ’74 del direttore generale
Bernabei, che s’era adoperato con molta energia perché il discorso
cristiano non venisse imbastardito, le conseguenze furono molto gravi
anche sul piano dell’informazione. Si pensi per esempio ai tre anni dal
75 al 77, successivi alla vittoria comunista in Indocina: praticamente
in quegli anni la TV in Italia non ha mai parlato degli enormi massacri
che venivano via via perpetrati dai comunisti in Cambogia (più di due
milioni di vittime inermi, come s’è detto, circa un terzo della
popolazione) e ha invece - al pari di tutta la grande stampa laica, da
«la Repubblica» al «Corriere della sera» - indirizzata quasi ogni giorno
l’attenzione della gente verso i contemporanei crimini fascisti in Cile
(6.800 vittime in tutto, per dichiarazione del capo comunista cileno
Corvolan).
Così trascinandosi le cose, a tenere in piedi per decenni e decenni il
partito della Democrazia Cristiana, a costringerlo a reggersi e a non
sfasciarsi, è stata soprattutto la sua base autenticamente cristiana
formatasi ai tempi di De Gasperi: milioni e milioni di umili persone
che, nella paziente attesa di un chiarimento nell’organizzazione e ai
vertici, hanno continuato a votarlo con immutata fedeltà.
Due novità
Nel frattempo (la storia degli uomini non si ferma per le impasses dei
partiti) si sono prodotte due novità di grande rilievo. Prima: la
nascita e l’affermarsi in Italia delle televisioni a diffusione
nazionale del gruppo Fininvest, forse non entusiasmanti dal punto di
vista culturale e morale, a motivo della loro deliberata scelta di
piacere a ogni genere di ‘consumatori’, però miracolosamente libere
dall’influenza comunista. (Non fosse che per questo, la storia dovrà un
giorno riconoscere la grande importanza della comparsa sulla nostra
esausta scena politica di Silvio Berlusconi). Seconda novità, con
effetti addirittura strepitosi a livello mondiale: il collasso
improvviso del Comunismo russo (concretatosi visivamente in Europa con
la caduta del muro di Berlino, nell’89).
Caduto il muro, è venuta meno anche la paura del comunismo: in seguito a
ciò l’attenzione della gente, e anzitutto della magistratura, ha
cominciato a fissarsi sulla corruzione dei partiti politici democratici,
prima intoccabili perché costituivano appunto un baluardo contro di
esso. Tale corruzione si è rivelata di gran lunga maggiore di quanto
tutti avessero fino allora sospettato. Era intanto apparso sulla scena
politica un singolare tribuno popolare, Umberto Bossi, incolto e
rusticano, facile all’insulto volgare, ma a suo modo molto abile nel
fiutare gli umori del popolo: per sua iniziativa tali umori si sono
andati coagulando in un movimento di protesta, la Lega (prima Lombarda,
poi Nord), cui hanno aderito sempre più numerose schiere di cittadini.
Fra questi anche molti che nelle zone ‘bianche’ della Lombardia e del
Veneto, erano stati fino allora i più spontanei e naturali sostenitori
della DC (nota 14).
La frana dei voti democristiani
Come ha reagito la Democrazia Cristiana - che nel frattempo, il 26
luglio 1993, aveva dovuto addirittura cambiare il proprio nome in
P.P.I.… - alla frana improvvisamente apertasi nel suo corpo?
Attribuendo poteri pressoché dittatoriali a un segretario senza dubbio
onesto, ma dalla struttura mentale, ahimè, orientata in senso
‘aperturista’ (nota 15). Nel contempo è venuto in luce, ed è stato
insistentemente presentato dai soliti cattocomunisti della TV, nonché
dalla grande stampa laica, come auspicabile modello del nuovo politico
cristiano, un inedito personaggio che ad ogni istante si dichiarava
fieramente anti Democrazia Cristiana, e ancor più fieramente pro P.D.S.,
come la Rosy Bindi. Il che ha contribuito ad accelerare la fuga in
massa degli elettori di centro.
Risultato: la DC, che dal 1953 al 1979 aveva ottenuto intorno ai 40% dei
consensi dell’elettorato, e dal 1983 al 1992 intorno al 33%, nelle
elezioni di fine marzo 1994 ha visto i propri consensi precipitare
all’11,1%, e di lì a poco, il 12 giugno 1994 al 10%: più di due terzi
dei suoi voti cioè si sono travasati dapprima nella Lega di Bossi, poi
(abbandonando questa) nel più recente e più affidabile movimento
moderato di Berlusconi: le due formazioni che sono venute a occupare, al
centro della scena politica, il posto insensatamente abbandonato dalla
Democrazia Cristiana.
Unica acquisizione positiva per il partito d’ispirazione cristiana, in
un quadro tanto fosco, è stata l’eliminazione - grazie alle suddette
ultime due elezioni - della maggioranza dei suoi esponenti corrotti o
tolleranti verso la corruzione, nonché di quelli con idee aperturiste.
Diversi di questi ultimi tuttavia (alcuni provenienti dalla dirigenza
demolitrice dell’Azione Cattolica) sono rimasti in carica, e fanno di
tutto per convincersi che l’emorragia dei voti è ormai finita.
Completamente incapaci di spiegarsi le tremende lezioni ricevute,
costoro vorrebbero, in buona fede, che il partito continui a procedere
sulla via dimostratasi suicida.
Purtroppo non sarà facile scaricarli. Ma se non si arriverà a questo, i
resti del grande partito che fu d’ispirazione cristiana e che, dopo aver
salvata l’Italia dal comunismo, l’ha portata ad essere nell’ordine
economico una delle nazioni più progredite del mondo, finiranno a
rimorchio degli eredi dell’ideologia marxista, i quali - approdati o no
che siano alla democrazia - sono in ogni caso gli eredi di un’ideologia,
ricordiamolo: omicida (la più omicida di tutta la storia), menzognera, e
oltre al resto fallita. La nostra identità nell’ordine politico andrà
allora del tutto perduta, e in tale ordine diventerà per noi attuale
quel solenne avvertimento del Vangelo: “Voi siete il sale della terra;
ma se il sale perde il suo sapore, con che cosa lo si potrà render
salato? a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli
uomini” (Mt 5, 13).
Nel corso dell’anno 1995 è intervenuta una spaccatura nell’appena nato
Partito Popolare Italiano, che l’11 marzo si è scisso in due monconi:
uno d’indirizzo moderato al seguito del segretario in carica Rocco
Buttiglione, l’altro d’indirizzo progressista, che dopo avere eletto
segretario Gerardo Bianco, si è subito schierato col P.D.S. (cioè con
gli ex comunisti). In occasione d’uno scontro polemico con Buttiglione,
Gerardo Bianco ha pubblicamente sottolineato: “Non potremo mai andare
d’accordo, perché apparteniamo a due culture diverse”. È precisamente
così, e la cultura di Bianco - anche se egli e tanta altra brava gente
che sta con lui non se ne rendono conto - non è una cultura cattolica.
(Rimandiamo al “pensiero di tipo non cattolico che sembra talvolta
predominare all’interno del cattolicesimo” di cui ha parlato Paolo VI,
da noi citato più avanti.)
Poiché in seguito alla scissione tutti gli ‘aperturisti’ residui della
vecchia DC (con alla testa Ciriaco De Mita), e gli ‘affaristi’ (sempre
con alla testa Ciriaco De Mita), sono confluiti nel moncone
progressista, si potrebbe considerare felicemente realizzato quanto da
noi auspicato in precedenza: lo scaricamento cioè di tutti i personaggi
estranei e negativi. Purtroppo però ha cominciato in pari tempo a
delinearsi anche un fatto molto grave: una notevole parte dei
sostenitori del partito (il suo cosiddetto ‘zoccolo duro’, costituito in
genere da gente pulita e fedele, anzi la più fedele) sembra volersi
convogliare verso il moncone di Bianco. (Per diverse ragioni, ma
soprattutto per la pressione soverchiante e obnubilante dei mass media
laicisti: a tal punto la cultura egemone non cristiana influisce sulle
menti del gregge cattolico e di certi pastori!)
Ciò costituisce, in questa fine anno 1995, un ulteriore doloroso
problema per il già tanto mutilato moncone del partito d’ispirazione
cristiana. Per risolverlo sarà d’importanza fondamentale che esso riesca
a far capire alla gente che il più autentico e più producente aiuto ai
piccoli e ai diseredati non può che venire dalle sue iniziative (le
iniziative cristiane, come è accaduto nell’intero corso della storia), e
non verrà certo da iniziative postcomuniste o cattocomuniste. La
situazione è molto preoccupante, non tuttavia tale da far cadere ogni
speranza. Soltanto adesso infatti, dopo tanti decenni liberato da ogni
zavorra, e provvidenzialmente diretto da un filosofo dotato d’idee
chiare, il partito ha la possibilità di recuperarsi davvero, e di
tornare a essere sé stesso, com’era ai tempi di De Gasperi.
Quanto agli ex comunisti - che intravedono, grazie all’attuale
situazione, una grande possibilità di successi elettorali (già li hanno
ottenuti in campo amministrativo) - hanno cominciato ad organizzarsi per
prendere in mano l’Italia facendosi precedere dovunque da teste di
legno cattoliche…
Il degrado è giunto a un punto tale che se non tenesse ancora la
colossale vaccinazione costituita dall’esperimento fascista, a quest’ora
la nostra strutturazione democratica sarebbe probabilmente già andata
in pezzi (nota 16).
Note
(1) Nel suo discorso dell’ottobre 1994 alla Duma (l’attuale parlamento
russo democratico) Solgenitsin ha ricordato “i sessanta milioni di
vittime del comunismo” senza che nessuno sollevasse obiezioni. - Per i
dati relativi alle vittime cinesi e cambogiane rimando al mio libro
“L’esperimento comunista”, Edizioni Ares, Milano.
(2) A quel tempo giungevano dall’Est soltanto notizie confuse. Tutta la
gente ricordava però bene il tragico bagno di sangue, la mattanza di
migliaia e migliaia di persone anche innocenti, effettuata in Italia dai
comunisti dopo la liberazione (il maresciallo Graziani parla nelle sue
memorie di 350.000 vittime, ma è dato palesemente gonfiato: in realtà
ancora oggi non disponiamo di statistiche né di valutazioni
attendibili): in pari tempo si sapeva che al confine iugoslavo sempre i
comunisti - slavi in quei luoghi - avevano assassinato e buttato nelle
foibe migliaia di nostri connazionali (intorno a diecimila, come si
apprese poi), insieme a non si sa quanti slavi non comunisti.
(3) È il caso di ricordare, almeno di sfuggita, alcuni altri grandi
meriti della DC. Per cominciare il non facile recupero della moralità,
dopo tanti delitti e prostituzioni d’ogni genere, e dopo i guasti anche
morali prodotti dal ‘mercato nero’ (questa fu forse l’impresa più
meritoria della DC: sulla moralità ristabilita in quegli anni, il popolo
italiano è vissuto di rendita per decenni, fino alla comparsa della
nuova e diversa corruzione). Viene poi l’introduzione non superficiale,
ma radicata, della democrazia in Italia: i cattolici (che sono accusati
di avere scarso senso dello stato - uno stato formatosi nell’Ottocento
contro di loro) hanno introdotto nella mentalità e nel costume del
nostro popolo una democrazia che ha già resistito a più d’una difficile
prova. Altro grande merito fu la ricostruzione materiale, cui (grazie
alla impostazione liberista e concorrenziale introdotta da De Gasperi e
da Einaudi) ha fatto seguito il ‘miracolo economico’, e il gigantesco
sviluppo successivo fino ad oggi, che ha portato l’Italia da una
condizione di povertà a una di ricchezza. Ciò perché sulla linea De
Gasperi - Einaudi si è costantemente retta l’economia nazionale;
ricordiamo però che dall’avvento del Centrosinistra ha cominciato in
parallelo a crescere in modo sproporzionato e infine abnorme il debito
pubblico, giunto oggi all’importo incredibile di due milioni di miliardi
di lire.
(4) Risultarono ‘garantite’ non solo le formazioni maggiori, ma anche
quelle piccole e piccolissime, e all’interno delle formazioni le
correnti e sottocorrenti, e perfino i singoli individui. Tanto che si
sarebbe poi prodotto quel fenomeno singolare, solo italiano, di
personaggi politici inamovibili a vita, che sarebbero rimasti alla
ribalta - sempre gli stessi, con le stesse facce per quaranta e anche
cinquant’anni.
(5) Al principio i soldi vennero forniti dall’America; successivamente
dalla Confindustria; in seguito da industrie statali, sempre sotto
banco. A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta il petroliere di
stato Mattei, per rimuovere gli intralci che ostacolavano gli sviluppi
del colosso statale da lui guidato, prese a far cadere sovvenzioni a
pioggia su tutte le forze politiche (in pari tempo egli si creava,
sempre col pubblico denaro, un proprio giornale, «Il giorno», e
all’interno della DC una propria corrente molto aperta verso i
progressisti e i comunisti, denominata ‘Base’, la quale, grazie ai soldi
di Mattei e all’ignoranza di troppi iscritti, avrebbe poi dominato a
lungo il partito soprattutto a Milano e in Lombardia: i luoghi di
‘Tangentopoli’). A quel tempo non c’era più De Gasperi, sopravviveva
però il vecchio Sturzo, il quale si adoperò con ogni sua forza per
impedire a Mattei quell’opera di corruzione: parlò contro di lui anche
in parlamento, ammonendo che la sua azione avrebbe finito col corrompere
l’intero mondo politico italiano. Nessuno controbatté (Sturzo era ormai
considerato un monumento), semplicemente Mattei andò avanti
imperterrito.
(6) Alcuni ritengono che su molti dirigenti DC abbia a questo riguardo
influito anche una certa “forma mentis” assorbita inconsapevolmente
durante il ventennio fascista. Va in ogni caso ricordato che lo stesso
fascismo aveva a suo tempo ripresa l’idolatria del partito (fenomeno in
Italia prima di allora sconosciuto) pari pari da Lenin.
(7) Con riferimento appunto al ‘testamento politico’ di De Gasperi,
Baget Bozzo ha osservato nel 1974 (ne «Il partito cristiano al potere»,
ed. Vallecchi) che l’enorme sviluppo successivo delle correnti interne
alla DC e le inevitabili “collusioni tra forze politiche esterne e
gruppi interni… avrebbe alterata l’unità della DC rendendo impossibile
la sua identità culturale e la sintesi tra cultura e politica: il
partito cristiano sarebbe diventato un vuoto culturale di cui altri si
sarebbero contesa l’egemonia ideale”.
(8) Senza dubbio contribuì a quell’innamoramento il fatto che in Italia
diversi dei primi portatori delle idee di Maritain, e del suo discepolo e
braccio politico Mounier, erano persone colte, disinteressate, e
insomma per più aspetti esemplari. Tali del resto lo stesso Maritain, e
Mounier, ch’ebbe una vita drammaticamente travagliata, e da noi
Dossetti, Lazzati, La Pira, e parecchi altri fino a Martinazzoli.
Tuttavia il chiudere troppo a lungo gli occhi sulla realtà delle cose,
il fare - anche se in buona fede - spazio all’errore, può comportare
sbocchi molto gravi. Abbiamo già accennato al risultato dell’azione dei
cattocomunisti prevalenti alla Tv, i quali - senza dubbio contro le loro
intenzioni - hanno finito col fare in pratica da supporto alla
scristianizzazione dell’Italia. Passando dal campo pratico a quello
delle idee, paradigmatico fu il caso di La Pira che, a quanto sembra,
allorché nel 1956 venne richiesto da Crusciov - col quale aveva
notoriamente scambio di corrispondenza - di far conoscere in Occidente
il suo famoso rapporto segreto al XX Congresso, non ne volle sapere. La
Pira cioè non avrebbe accettato di collaborare al ristabilimento di una
verità comportante la liberazione dalla schiavitù per centinaia di
milioni di esseri umani. (Evidentemente perché, se avesse accettato,
avrebbe con ciò stesso implicitamente riconosciuto di avere costruita la
propria testimonianza anche su una colossale menzogna.) Viene spontaneo
chiedersi fino a che punto si debba a questa omissione di La Pira - e
ad altre consimili di personaggi ‘esemplari’ come lui - il fatto che in
Italia l’enormità negativa dell’esperimento storico comunista venne
recepita in modo del tutto marginale. (Tanto che, a tale riguardo, gli
italiani vivono ancora oggi in uno stato di semi-menzogna.) Sempre
nell’ordine della cultura non meno paradigmatico fu il caso della
celebre rivista francese «Esprit», cavallo di battaglia di Mounier, che
dopo morto Mounier e dopo la caduta nel 1989 del muro di Berlino, ha
continuato addirittura fino al 1993 a tacere sul fallimento del
comunismo nell’URSS e nel mondo…
(9) Nel suo ultimo libro importante infatti, «Il contadino della
Garonna» (1966; traduzione italiana ritardata al 1969) Maritain ha
parlato, riprovandolo, di un ‘neo-modernismo’ inaspettatamente
scatenatosi nella Chiesa, confronto al quale quello che a principio
secolo preoccupava tanto, non fu che “un modesto raffreddore da fieno”.
Purtroppo però non ha ammesso con franchezza la propria responsabilità
nel fenomeno, spiegandolo con “un curioso scatenamento di scempiaggine
cristiana”, “un’esplosione che non onora l’intelligenza umana”, e
deprecando le “dimensioni gigantesche che tale stupidità prende oggi
presso i cristiani”. Dopo di che ha fatto risalire l’origine di tanto
sconquasso alle ‘favole’ di Teilhard de Chardin, e alle false filosofie
dei fenomenologhi; solo per quanto concerne il linguaggio ‘bastardo’ dei
neomodernisti, ammette: “io stesso non sono esente da responsabilità”.
L'errore di Maritain. In realtà - se possiamo esprimere il nostro
modesto parere - in quel progetto c’era piuttosto un errore madornale.
Ci si consenta d’indugiare un poco a parlarne, perché quell’errore è
ancora e rimarrà a lungo insidiosamente presente fra noi. Maritain non
si è reso conto che la presenza di una verità, o di un valore, o di una
virtù cristiana nel contesto di un’ideologia anticristiana, lungi dal
costituire una piattaforma d’incontro coi cristiani, rafforza la
pericolosità di quell’ideologia. Per spiegarmi ricorrerò a un esempio
pratico: si veda nel diario del nazista Rudolf Hoss («Comandante ad
Auschwitz», editore Einaudi) cos’è che ha reso possibile in quel lager
(probabilmente il più omicida di tutti i lager, sia dell’Ovest che
dell’Est), la macellazione e riduzione in cenere di tre milioni d’esseri
umani in soli tre anni e mezzo. Le strutture (camere a gas e forni
crematori) spiega il comandante Hoss, erano insufficienti, e alcune
anche in condizioni precarie; del tutto inadeguato inoltre il numero
delle SS e degli altri carnefici. È stato soltanto grazie allo
straordinario spirito di sacrificio e alla costanza addirittura eroica
di quei carnefici (per fare ‘il loro dovere’ rinunciavano anche alle
tanto necessarie e sospirate licenze, si sovraccaricavano di ‘lavoro’
fino all’esaurimento, ecc.) che si è potuto uccidere un così enorme
numero di esseri umani. Ebbene, lo spirito di sacrificio e il compimento
del dovere fino all’eroismo, non sono forse virtù cristiane? Vediamo
però, in un contesto come quello nazista, a cosa hanno portato… Possiamo anzi affermare che senza quelle virtù (se cioè fossero stati
dei poltroni, e privi di spirito di sacrificio, e renitenti al dovere)
quei carnefici non sarebbero arrivati a compiere un massacro così
smisurato. Del resto se Maritain avesse ragione, dato che Lucifero (il
capo della ribellione angelica, cioè il capo dei demoni) fu, secondo la
tradizione cristiana, il più dotato e il più bello fra tutti gli angeli
(come a dire il più simile a Dio fra tutti gli esseri creati), i
cristiani dovrebbero collaborare con lui più che con chiunque altro…
(10) Più d’una volta la ‘Lega democratica’ ha assunto la funzione di
vero e proprio antipapa. Così nel 1987, in occasione di un passaggio di
consegne al vertice dell’Azione Cattolica: avendo il papa benevolmente
invitata questa associazione a svegliarsi, e a recuperare almeno in
parte l’antico spirito, si è visto l’ex presidente Monticone correre a
piangere sulla spalla del capo della Lega. E subito costui, con
l’immediato sostegno della grande stampa laica, alzare la voce ad
ammonire il papa: l’Azione Cattolica deve rimanere com’è, adagiata
nell’attuale frana: provveda se mai il papa ad adeguarsi. Quanto alla
minorità della cultura cattolica, ci basterà ricordare l’episodio
gravissimo e pressoché sconosciuto al pubblico, del Premio
internazionale Balzan, istituito dalla sua fondatrice affinché il mondo
cattolico avesse a disposizione qualcosa di analogo al premio Nobel (sia
per importanza che per dotazione economica), e da lei posto sotto il
patronato del presidente della repubblica italiana e di quello della
confederazione elvetica. Ma poco valsero l’imponente sforzo finanziario e
tante precauzioni: il grande premio cattolico venne immediatamente
scippato dai laici, e oggi vivacchia nelle loro mani, senza che la
cultura cattolica sia stata in grado di fare alcunché per recuperarlo. A
causa della propria frattura non è stata neppure in grado di far
sentire una vera protesta, niente.
(11) Alcuni nomi di gruppi, alla rinfusa: Brigate Rosse anzitutto, poi
Nuclei armati proletari, Lotta continua, Avanguardia operaia. Cps,
Autonomia, Potere operaio, Collettivi autonomi, e molti altri. E in
questi gruppi e gruppuscoli che s’è travasata per una decina d’anni la
tendenza omicida sia del comunismo, sia di quella sua anticipazione
storica che fu il giacobinismo. Significativa a tale riguardo appare la
difesa che di questi gruppi hanno fatto nel 77 Sartre e i suoi amici,
col loro famoso «Appello contro la repressione in Italia» (vedasi ad es.
in M. Brambilla, «Dieci anni d’illusioni», ed. Rizzoli 1994). Motivo di
partenza dell’appello fu la difesa del ventiseienne professore di
lettere ‘Bifo’, che tra l’altro - stando alle imputazioni con
l’incitamento “Ammazzate, ammazzate, abbiamo bisogno di cadaveri” aveva
nel marzo di quell'anno sostenuta via radio la guerriglia urbana in
Bologna.
(12) I comunisti italiani sembrano avere definitivamente afferrato il
fallimento della loro ideologia alla fine degli anni Ottanta; nel 1990 -
ossia un anno dopo la caduta del muro di Berlino - essi hanno cambiato
il nome del partito. Sono però ancora molto legati al pathos che dalla
loro ideologia emanava (è precisamente questo che li tiene insieme); un
simile attaccamento, di per sé incomprensibile, si spiega soprattutto
col fatto che essi hanno delle atrocità e dei disastri operati dal
comunismo reale, una conoscenza quanto mai incerta e confusa. Prima
delle elezioni del marzo 94 sembravano comunque essere passati realmente
alla democrazia, e in ciò sinceri, tanto che l’opinione pubblica
italiana si era risolta ad adottare le elezioni col sistema
maggioritario, cioè tra due schieramenti destinati ad alternarsi fra
loro: e uno di tali schieramenti sarebbe stato, per forza di cose,
guidato dagli ex comunisti. A sollevare di nuovo seri dubbi sulla
democraticità di costoro, è stato dopo le suddette elezioni del 94, il
comportamento di alcuni magistrati rimasti in realtà comunisti o
filocomunisti (ricordiamo che chi è comunista è per sua natura
partigiano, e una giustizia partigiana è una contraddizione in termini).
Quei magistrati - furibondi perché lo schieramento rosso aveva perdute
le elezioni - hanno in tutti i modi cercato, con un impiego serrato ed
abnorme degli strumenti del potere giudiziario, di rovesciare il
verdetto elettorale e togliere il potere a chi l’aveva ricevuto dal
popolo. Si sentivano liberi da ogni ritegno perché alti sulla cresta
dell’opinione pubblica, grazie alla loro battaglia contro i politici
corrotti. Esempio limite il procuratore capo della repubblica di Milano,
che per sostenere la propria azione ogni mezza giornata convocava i
giornalisti, martellando incessantemente gli italiani con le sue
‘esternazioni’ (particolarmente fastidiose quelle televisive all’ora di
pranzo e di cena); talmente sfrenato divenne il protagonismo di costui,
che è giunto a proporre (1.5.94) sé stesso e i suoi sostituti al
presidente della repubblica per la costituzione di un nuovo governo… Altri magistrati comunisti sembrano addirittura rimasti a un livello
staliniano, nel senso che si comportano precisamente come i giudici dei
processi staliniani. […]. Poiché viviamo tuttora in sistema
democratico, le persone colpite dalle folli imputazioni di questi
magistrati non saranno al termine dei processi crudelmente private della
vita: anche se assolte però, rimarranno per il resto dei loro giorni
sconciate dal cosiddetto ‘effetto Goebbels’, secondo il quale anche dopo
la smentita più piena e completa, all’imputato che è stato investito
dal clamore dei mass media moderni rimane comunque appiccicata una forte
dose di colpevolezza. Sconciata rimarrà pure - specialmente all’estero -
la figura dello stato italiano (e tanto più la memoria di tutto ciò che
la DC - il maggiore dei partiti democratici - ha fatto nel corso dei
cinquant’anni della sua storia).
(13) Fa eccezione. nel desolante paesaggio del mondo socialista, la
figura del segretario Bettino Craxi, il quale ha avuto il merito
d’adoperarsi in primo luogo per ripristinare, sia pure senza successo,
la prevalenza numerica dei socialisti sui comunisti, e in secondo luogo
per liberare l’intero mondo politico italiano dall’abbraccio asfissiante
del comunismo. A quest’ultimo proposito egli ha sostenuto, per lunghi
anni, la parte che avrebbe dovuto sostenere la Democrazia Cristiana.
Oggi Craxi si trova in uno stato di strepitosa disgrazia nell’opinione
pubblica nazionale, in parte per le incredibili ruberie di cui il suo
partito si è reso responsabile, ma in parte anche per la guerra accanita
che la cultura dominante gli ha sempre fatto e gli fa. Quale che sia la
sua sorte più prossima, noi riteniamo che nel giudizio storico futuro i
suoi due grandi meriti gli verranno riconosciuti.
(14) Il vero e miglior nerbo dei leghisti era costituito appunto da
costoro. Dei quali fu un simpatico esempio la giovane Irene Pivetti,
laureata all’Università Cattolica, che nell’aprile 94 nel suo bel
discorso di accettazione della carica di presidente della Camera,
dichiarò senza complessi la propria fede di credente, pur sapendo che
questo le avrebbe procurato avversione ed attacchi: tra l’altro da parte
di alcune pericolose giornaliste, che con i loro articoli avevano negli
anni del terrorismo indicate le vittime da colpire ai giovani
sprovveduti assassini.
(15) Al punto da affidare, nel tempo della sua segreteria, quanti più
incarichi di partito ha potuto a cattocomunisti o affini. Nella città di
Monza, essendosi creata nel 1992, in seguito agli interventi della
magistratura per le solite ruberie e ‘tangenti’, la necessità di
commissariare il partito, Martinazzoli è arrivato a inviare quale
commissario l’esponente della sinistra senatore Luigi Granelli, cioè
l’uomo che, insieme con Marcora, aveva a suo tempo dato vita, per conto
di Mattei, alla corrente di ‘Base’, come a dire alla corrente che ha
avviata la corruzione di tutta la politica italiana…
(16) Responsabili, più o meno coscienti, del degrado seguitano ad essere
in particolare i magistrati veterocomunisti, che con l’appoggio della
stampa egemone conducono incessanti campagne in appoggio alla sinistra.
Liberi ormai da qualsiasi controllo (dopo che recentemente, in ottobre,
con l’aiuto del P.D.S., sono arrivati a togliere di mezzo il loro
controllore istituzionale, il ministro della giustizia Mancuso, essi non
cessano di perseguire gli obiettivi che si erano posti fin da
principio, e cioè: a) l’eliminazione dalla scena politica (e se
possibile anche l’incarceramento) di Berlusconi, che è l’unica
personalità democratica in grado di far fronte nelle elezioni agli ex
comunisti - e b) l’infangamento dell’ex presidente del Consiglio
Andreotti, che più d’ogni altro impersona ai loro occhi, e a quelli del
mondo intero, i trascorsi cinquant’anni di vita della democrazia
italiana. […]. A ulteriore conferma del degrado politico, verso la fine
del 1995 si sono verificati a Roma due episodi in sé non rilevanti, ma
sintomatici. Avendo il 26 novembre il papa, al termine di un convegno,
stretta con paterna carità la mano all’ex presidente Andreotti,
comunicandogli che ogni giorno lo ricorda nelle sue preghiere, di lì a
poco, il 4 dicembre, il quotidiano «la Repubblica» - capofila della
stampa laica procomunista - ha sferrato contro il papa un violento
attacco demolitore. Pochi giorni più tardi, durante una messa solenne in
San Pietro uno studente cattolico dalla mente plagiata ha approfittato
del proprio compito di lettore di una preghiera, per rimproverare
pubblicamente il papa - ch’era presente - per quel gesto di carità
(secondo lo studente gesto invece di complicità: tanto la colpevolezza
dell’ex presidente del Consiglio, decretata dalla stampa egemone, era
per lui, come per chissà quanti altri giovani e non giovani, certa e
indiscutibile).
Da http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/concilio_e_postconcilio/eugenio_corti/articolo.php?id=2645&titolo=Breve+storia+della+Democrazia+Cristiana+con+particolare+riguardo+ai+suoi+errori, ora non più in rete ma presente solo su archive.org
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